Data di pubblicazione 22/03/2016
Dopo trenta giornate di campionato sono due le squadre con ancora lo zero alla casella rigori: la Fiorentina per quanto riguarda i penalty contro, il Palermo per quelli a favore.
Ma quanto è importante la massima punizione nel bilancio stagionale di una squadra?
Difficile fare una stima in caso di campionato. Molto più semplice se abbiamo a che fare con quelle competizioni, dalla Champions ai Mondiali, dove il destino sportivo (ma anche economico) può passare per una sfida uno-contro-uno in stile western.
In “Undici metri - Arte e psicologia del calcio di rigore” il giornalista inglese Ben Lyttleton attraverso una carrellata di episodi e numeri prova a carpire il segreto del rigore (e del rigorista) perfetto. Il tutto inizia con la maledizione inglese. Una serie negativa che ha condannato la nazionale dei “Three Lions” ad uscire sconfitta dalle ultime cinque lotterie dei calci di rigore. Fra cui, quella contro la Nazionale di Cesare Prandelli e del cucchiaio calciato da Andrea Pirlo.
A proposito, nel resto del mondo il penalty tirato con lo scavetto porta il nome del suo inventore: Panenka, da Antonín Panenka, giocatore che nella finale dei campionati Europei di calcio del 1976 tentò e riuscì in quel colpo. “Io mi vedevo come un intrattenitore e consideravo quel rigore come un riflesso della mia personalità”, racconta Panenka a Lyttleton, poi aggiunge: “Volevo far vedere ai tifosi qualcosa di nuovo e plasmare un ricordo che li avrebbe fatti discutere a lungo. Volevo tirare fuori dal cilindro qualcosa di speciale che nessuno si aspettava. E volevo che il calcio fosse qualcosa di più che dare semplicemente calci a un pallone”.
Già perché un pallone non lo si prende semplicemente a calci… lo si prova anche a bloccare con le mani inguantate. E’ il ruolo dell’altro contendente nella sfida dagli unici metri, il portiere. Chi ha già qualche capello bianco in testa ricorderà un certo Helmuth Duckadam, portiere romeno che nella finale di Coppa dei Campioni del 1986 contro il Barcellona applicò la “Teoria dei giochi” per parare tutti i tiri dal dischetto degli spagnoli.
E un costante ed importante lavoro lo svolge Christophe Lollichon con i portieri della squadra inglese del Chelsea. Perché i calciatori devono allenarsi a tirare i rigori, mentre i portieri devono allenarsi a pararli (a patto di non chiamarsi Chilavert o Ceni). Niente deve essere lasciato al caso, prima, durante e dopo una esecuzione dagli undici metri.
E’ questo il segreto per non perdere una finale dei campionati di mondo, come capitò all’Italia contro il Brasile ad USA 94, oppure l’atto conclusivo della Champions League, come la sorte riservò alla Juventus nella sfida tutta italiana contro il Milan del 2003.
Una sezione dedicata alla storia del calcio di rigore chiude il volume.
Ben Lyttleton
“Undici metri -Arte e psicologia del calcio di rigore”
Traduzione di Flavio Iannelli
TEA
400 pagine